Il padrone della guesthouse pare preoccupato dal fatto che
abbia mangiato meno della metà del pappone di ieri sera, e praticamente zero
dei noodles in brodo serviti per colazione. Per essere gentile lamento un forte
mal di stomaco, quando in realtà nemmeno sotto tortura avrei finito quei
piatti.
Il mio finto mal di stomaco fa scopa con il suo vero mal di
denti, del quale si lamenta continuamente. Mi chiede un paio di volte se posso
caricarlo sulla moto fino a Vrang (a una trentina di chilometri) ma pur
sentendomi in colpa non me la sento di rischiare di far salire uno che
certamente non è mai salito su una moto, per di più carica di bagagli, e di
dover guidare su strade scassate con lui vestito in pantaloni e maglietta. Mi
dispiace signò…spero tu possa trovare un passaggio dalle molte jeep che passano
da Langar.
Chiediamo benzina ad ogni uomo che incontriamo perché il
benzinaio di Langar è a secco (solo diesel) e ad Iskashim non arriverò mai con
la poca autonomia residua dalla tappa di ieri da Murghab. Proprio a Vrang, una
cinquantina di chilometri dopo, tre secchiate di nettare idrocarburico mi toglieranno
almeno quel pensiero.
La valle qui è larghissima, il fiume scorre ampio e placido
quasi senza far rumore, il colore dell’acqua e marrone di sedimenti e sabbia
che nelle anse formano piccole spiagge, e a volte dune vere e proprie. I villaggi
si succedono uno dietro l’altro, e la benedizione della enorme quantità d’acqua
che bagna questa valle si traduce in mille oasi di verde, campi di frumento,
risaie, viali lunghissimi di betulle. Ogni paesino è un’oasi, e finito uno si
intravede già la macchia verde del successivo.
Le anse del fiume alternano i villaggi tajiki e afghani, non
se ne trovano mai uno di fronte all’altro perché le montagne precipitano nelle
acque, e solo le anse offrono spazio per gli insediamenti. Ovunque bambini che
ci inseguono urlando “heeeelllooooo” agitando quelle manine lerce, ovunque
uomini che falciano l’erba a mano e donne che trasportano covoni di fieno. A
differenza dell’altopiano del Pamir, cosi scarno e misero, qui certamente c’è
povertà ma la ricchezza della terra trasforma la sussistenza in qualcosa di
più.
La strada non ci permette mai di rilassarci. 10 km di
asfalto buono si trasformano in un attimo in chilometri di tole ondulè, crateri
spacca-moto, lunghe strisce di sabbia. Una di queste pozze di sabbia intrappola
una decrepita Lada Niva che diversi uomini stanno tentando di disincagliare, e
presto ci troviamo a spingere quell’ammasso di ruggine insieme a questi uomini sorridenti
e pieni di gratitudine a missione compiuta.
La cosa che adoro di questa gente, in generale dei musulmani
che vivono la loro religione in modo molto easy, è che quando ti salutano si
portano una mano sul cuore. Sarà una banalità, ma è un gesto che fa parte della
loro cultura che mi colpisce ogni giorno, ogni volta.
Giacomo ha un maledetto mal di testa, probabilmente perché ogni
mattina si lamenta che non ha dormito, così riduciamo le soste allo stretto
indispensabile. Io però non riesco a smettere di fare foto anche se tutte le
volte vuol dire fermarsi, togliersi i guanti, togliere la macchina fotografica
dal borsello impermeabile, scattare e rifare tutto al contrario. Ma il fiume
che ora è stretto tra gole larghe poche decine di metri è uno spettacolo
impressionante di acque furiose e ruggenti, e io ne sono tremendamente
affascinato.
Poco prima di Khorog incontriamo due curiosi personaggi:
papà e figlio (10 anni forse) sud coreani che stanno viaggiando da due mesi in
sella ad una Africa Twin (quella nuova, non la mia vecchietta) carica come non ho mai visto carica una moto. Il papà è
uno spilungone alto con un gran parlantina, il bimbo ci scruta con due occhioni
neri enormi ed il tipico caschetto di capelli dritti degli orientali. Si sono
fermati per un bagno in una pozza del
fiume, e viaggeranno ancora fino ad ottobre, fino a Valencia. Avrei voluto
essere quel bimbo, alla sua età…
Infine, ci appollaiamo a Khorog nella guest house
suggeritaci da Nigel, un australiano di
60 anni incontrato questa mattina che viaggi in bici da 6 anni (SEI !!)
e che tra mille “bloody hell” e “fuck” e “fuckers” ci indirizza qui, sulla
terrazza appesa sul fiume Gunt dalla quale scrivo.
Khorog è vivace, non bella secondo i nostri standard
europei, ma ha tutto quello che ci serve. Cibo buono, BIRRA GHIACCIATA, un
bazar per comprare fascette, e l’internet per chiamare casa. E persone gentili
e sorridenti.
Un giorno senza moto per fare un po’ di manutenzione a loro
e a noi, per essere pronti ad affrontare la Bartang Valley domani. Un giorno
con un cesso con una tazza invece di un buco puzzolente in terra e una doccia
al posto di un torrente
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