Tutte le strade portano a Kazarman, l’ho già scritto diverse
volte negli anni scorsi.
E visto che è “solo” la quarta volta che passiamo di qui,
stavolta almeno prendiamo una strada diversa per metterci alle spalle la perla
del Kirgizstan (sono abbondantemente ironico, ovviamente).
Decisi ad andare ad una delle vere perle di questa parte
dell’Asia Centrale, il lago Song Kol, ci dirigiamo sulla facile pista sterrata
verso est procedendo molto distanziati perché la polvere che si solleva è una
nube malefica, e perché Davide è ancora in crisi con il concetto che in
sterrato per non ondeggiare come una barca ad ogni mucchietto di ghiaia devi
aprire il gas. Aprirlo con decisione, non fare finta.
Giacomo da stamattina non sta per niente bene. Si lamenta (e
questa non è una novità), sbuffa, dice che è fiacco, appena può si spatascia al
suolo come un gatto spiaccicato sull’asfalto. Per un po’ lo prendo per il culo,
poi sdrammatizzo, poi lo ignoro…di solito funziona.
All’ennesima sosta per aspettare Davide che rimedia circa 10
minuti di distacco ogni mezz’ora di guida ci piazziamo sotto ad un misero
alberello appena dopo un tornante, quando vediamo arrivare arrembante una Audi
100 (anni ’80) che tutta arrogante fa la curva full gas, derapa, sgomma, sgasa
e….perde la ruota posteriore sinistra fermandosi in 4 metri come una balena
spiaggiata. Il tutto sotto i nostri occhi e così velocemente che non abbiamo
nemmeno il tempo (o forse la voglia) di fare un passo indietro.
Rimaniamo li senza sapere cosa dire e certamente senza
sapere cosa fare, ed in pochi istanti c’è un tizio grassottello molto sudato
che cerca di infilare il cric sotto l’auto, un vecchio con i denti tutti d’oro
che ci guarda sorridente e fiero nonostante il patatrac e dice indicando la
vecchia Audi “germansky, good!!” facendo ok con il pollice, io e Giacomo che
camminiamo lungo la curva cercando i TRE bulloni che si sono staccati, due
vecchie con i gambaletti color carne che si attaccano al telefono e Davide che
si accende un’altra sigaretta. Un perfetto teatrino dell’assurdo.
Dopo pochi minuti certi che i nostri quasi investitori se la
sappiano cavare egregiamente senza il fumo delle nostre sigarette intorno, ce
ne andiamo.
Giacomo però sta veramente poco bene. E quando siamo quasi
nel presso del bivio che verso nord porterebbe al lago decidiamo che è meglio
non salire a 3000 metri in un posto molto freddo e con i soliti cessi scavati
in terra a 50 metri da una yurta, ma pigliare una stanza in una guesthouse a
Naryn e vedere se è un malessere passeggero o altro.
Purtroppo per lui i 100 km di asfalto che ci mancano
diventano più di 140 e quasi tutti di pista (facilissima ma pur sempre più
lenta) a causa dell’interruzione di un ponte che ci impedisce di cambiare lato
della valle. Per nostra fortuna Davide pare aver fatto suo il concetto di
“Davideeeeee!! Gaaaassss!!” e i tempi di attesa si riducono parecchio.
Ci appollaiamo il più velocemente possibile a Naryn, con
Giacomo che alterna corse in bagno a stati di coma profondo a letto.
La mattina dopo sono io a svegliarmi marcio e dolorante e
colpito dalla maledizione di Montezuma, e le corse verso il bagno mie e di
Giacomo ricorderanno a lungo il dualismo Bolt – Gatlin sui 100 metri in questa
inutile ed abbruttita giornata di stop forzato.
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