domenica 13 agosto 2017

La maledizione di Montezuma

Tutte le strade portano a Kazarman, l’ho già scritto diverse volte negli anni scorsi.
E visto che è “solo” la quarta volta che passiamo di qui, stavolta almeno prendiamo una strada diversa per metterci alle spalle la perla del Kirgizstan (sono abbondantemente ironico, ovviamente).
Decisi ad andare ad una delle vere perle di questa parte dell’Asia Centrale, il lago Song Kol, ci dirigiamo sulla facile pista sterrata verso est procedendo molto distanziati perché la polvere che si solleva è una nube malefica, e perché Davide è ancora in crisi con il concetto che in sterrato per non ondeggiare come una barca ad ogni mucchietto di ghiaia devi aprire il gas. Aprirlo con decisione, non fare finta.
Giacomo da stamattina non sta per niente bene. Si lamenta (e questa non è una novità), sbuffa, dice che è fiacco, appena può si spatascia al suolo come un gatto spiaccicato sull’asfalto. Per un po’ lo prendo per il culo, poi sdrammatizzo, poi lo ignoro…di solito funziona.
All’ennesima sosta per aspettare Davide che rimedia circa 10 minuti di distacco ogni mezz’ora di guida ci piazziamo sotto ad un misero alberello appena dopo un tornante, quando vediamo arrivare arrembante una Audi 100 (anni ’80) che tutta arrogante fa la curva full gas, derapa, sgomma, sgasa e….perde la ruota posteriore sinistra fermandosi in 4 metri come una balena spiaggiata. Il tutto sotto i nostri occhi e così velocemente che non abbiamo nemmeno il tempo (o forse la voglia) di fare un passo indietro.
Rimaniamo li senza sapere cosa dire e certamente senza sapere cosa fare, ed in pochi istanti c’è un tizio grassottello molto sudato che cerca di infilare il cric sotto l’auto, un vecchio con i denti tutti d’oro che ci guarda sorridente e fiero nonostante il patatrac e dice indicando la vecchia Audi “germansky, good!!” facendo ok con il pollice, io e Giacomo che camminiamo lungo la curva cercando i TRE bulloni che si sono staccati, due vecchie con i gambaletti color carne che si attaccano al telefono e Davide che si accende un’altra sigaretta. Un perfetto teatrino dell’assurdo.
Dopo pochi minuti certi che i nostri quasi investitori se la sappiano cavare egregiamente senza il fumo delle nostre sigarette intorno, ce ne andiamo.
Giacomo però sta veramente poco bene. E quando siamo quasi nel presso del bivio che verso nord porterebbe al lago decidiamo che è meglio non salire a 3000 metri in un posto molto freddo e con i soliti cessi scavati in terra a 50 metri da una yurta, ma pigliare una stanza in una guesthouse a Naryn e vedere se è un malessere passeggero o altro.
Purtroppo per lui i 100 km di asfalto che ci mancano diventano più di 140 e quasi tutti di pista (facilissima ma pur sempre più lenta) a causa dell’interruzione di un ponte che ci impedisce di cambiare lato della valle. Per nostra fortuna Davide pare aver fatto suo il concetto di “Davideeeeee!! Gaaaassss!!” e i tempi di attesa si riducono parecchio.
Ci appollaiamo il più velocemente possibile a Naryn, con Giacomo che alterna corse in bagno a stati di coma profondo a letto.
La mattina dopo sono io a svegliarmi marcio e dolorante e colpito dalla maledizione di Montezuma, e le corse verso il bagno mie e di Giacomo ricorderanno a lungo il dualismo Bolt – Gatlin sui 100 metri in questa inutile ed abbruttita giornata di stop forzato.


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