Sto vivendo un momento di pure felicità. Io, Giacomo, un
altopiano verdissimo a 4350 metri racchiuso tra tra montagne ancora innevate,
le moto parcheggiate fuori da una yurta.
Sto vivendo un momento di pura felicità, lo ripeto. È giusto
ripeterlo quando si ha la fortuna di sentirsi cosi puramente in pace e
soddisfatto e pieno di gioia come mi sto sentendo io ora.
Secondo l’adagio che
non tutto il male viene per nuocere, lo stop della Bartang ci ha portato a ri-elaborare
i piani e decidere di passare nell’area protetta del lago Zorkul, che collega il
check point militare di Khargush e la Pamir Highway a Murghab.
Mentre la Wakhan è (con le dovute proporzioni) piena di
turisti e molto battuta, appena i militari verificano il permesso speciale che
serve per accedere alla zona della riserva protetta si percepisce
immediatamente che si sta entrando in una zona completamente disabitata.
Dal bellissimo blog di Sporcoendurista e dalle info ricevute
stamattina da Nigel, il ciclista australiano incontrato qualche giorno fa e che
troviamo nuovamente, sappiamo che almeno i primi 50 chilometri di pista sono
tosti: tratti di sabbia, tratti di sasso smosso, guadi.
La pista corre immediatamente accanto all’alto corso del
fiume Pamir (che nasce in Afghanistan qualche decina di chilometri più su), e
dopo giorni di fiumi color cioccolato il blu accecante delle acque in contrasto
con la terra e la roccia è uno spettacolo incantevole. Che talvolta ci distrae
da una strada che subito comprendiamo non tollera distrazioni…
Sotto le ruote ci ritroviamo all’improvviso buche di sabbia
che ci fanno scattare in piedi sulle pedane, e quando la sabbia comincia diventare via via più rada ecco che arrivano
pietraie terribili spesso in salita che culminano con delle vere e proprie
trincee o con dei guadi profondi.
Ci sudiamo la pagnotta guidando sulle uova per non fare
danni alle moto (e si, anche a noi stessi), ma tutta questa attività
alzati\siediti\scatta\evita il masso a 4000 metri è bella tosta. Ogni volta che
ci fermiamo per riprendere fiato e possiamo veramente guardarci intorno
rimaniamo a bocca aperta per gli spazi immensie deserti, la cui bellezza
culmina quando scolliniamo e vediamo per la prima volta il lago.
C’è una luce pazzesca, l’acqua è color cobalto e contrasta
con il blu del cielo. Senza parole.
Convinti che il peggio della strada sia passato giochiamo a
fare foto, cazzeggiamo un po’, ma poi….nonostante sul GPS la traccia della
strada sia sempre chiara e so che stiamo andando nella direzione giusta, trovare
la strada da seguire diventa improvvisamente complicato perché c’è una
moltitudine di solchi che si potrebbero seguire ma alcuni sono delle trappole
sassose o conducono sul bordo di un ruscello le cui sponde non permettono
l’attraversamento.
Un paio di volte scendo e vado a piedi per cercare di capire
dove è meglio passare, altre mi pianto scegliendo il punto sbagliato in cui
guadare finendo in una pozza di terra molle che richiede le spinte del buon
Pastelero per uscirne.
Pastelero che, ad un certo punto nel mezzo del nulla più
completo mi scompare dagli specchietti. Mi fermo. Aspetto qualche minuto, non
arriva.
Torno indietro (mannaggia che mi serve ogni goccia di
benzina per riuscire ad arrivare a Murghab dove troverò il primo rifornimento)
e per fortuna dopo meno di due km scorgo in lontananza il suo faro.
E’ caduto, un guado, una pietra presa male, la moto che
sbatte sulla destra. Giacomino sta bene, solo il classico mal di schiena da
“ammazza quanto pesa da tirare su ‘sta moto”.
Mentre mi racconta cosa è successo noto uno zampillo di
acqua dal tubo del circuito di raffreddamento, per fortuna una sciocchezza che
ripariamo velocemente e pare tenere.
Nuovamente la strada scompare sull’altopiano, e solo
aiutandoci con il gps e scrutando come marinai alla ricerca della terra
promessa i di segni di altri pneumatici riusciamo a mantenere la direzione che
speriamo ci porti presto ad un campo di yurte del quale ci ha informato Nigel
per trascorrervi la notte.
Un altro paio di guadi molli nei quali mi pianto come un
pirla, e finalmente scorgiamo in lontananza le tende.
Ci accasiamo in una di queste con le donne di casa che ci
accolgono con calore, per fortuna smozzicando un po’ di inglese. Il calore
della tenda, il sorriso delle persone, la cena che ci stanno preparando sulla
stufetta alimentata a cacca secca di gnu o di crotalo non so, il sole che sta
tramontando e che allunga le ombre a dismisura, la purezza dell’aria fredda, i
bambini bellissimi con il moccio al naso, la capra bluetooth (che se ti avvicini
a meno di 5 metri poi ti segue con un drone), un piccolo lago blu in
lontananza.
Sono felice, è tutto perfetto. E chi se ne frega se sarà
solo per un momento o qualche ora.
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