domenica 6 agosto 2017

Check Point Char....no, Kargush

Sto vivendo un momento di pure felicità. Io, Giacomo, un altopiano verdissimo a 4350 metri racchiuso tra tra montagne ancora innevate, le moto parcheggiate fuori da una yurta.
Sto vivendo un momento di pura felicità, lo ripeto. È giusto ripeterlo quando si ha la fortuna di sentirsi cosi puramente in pace e soddisfatto e pieno di gioia come mi sto sentendo io ora.
 Secondo l’adagio che non tutto il male viene per nuocere, lo stop della Bartang ci ha portato a ri-elaborare i piani e decidere di passare nell’area protetta del lago Zorkul, che collega il check point militare di Khargush e la Pamir Highway a Murghab.
Mentre la Wakhan è (con le dovute proporzioni) piena di turisti e molto battuta, appena i militari verificano il permesso speciale che serve per accedere alla zona della riserva protetta si percepisce immediatamente che si sta entrando in una zona completamente disabitata.
Dal bellissimo blog di Sporcoendurista e dalle info ricevute stamattina da Nigel, il ciclista australiano incontrato qualche giorno fa e che troviamo nuovamente, sappiamo che almeno i primi 50 chilometri di pista sono tosti: tratti di sabbia, tratti di sasso smosso, guadi.
La pista corre immediatamente accanto all’alto corso del fiume Pamir (che nasce in Afghanistan qualche decina di chilometri più su), e dopo giorni di fiumi color cioccolato il blu accecante delle acque in contrasto con la terra e la roccia è uno spettacolo incantevole. Che talvolta ci distrae da una strada che subito comprendiamo non tollera distrazioni…
Sotto le ruote ci ritroviamo all’improvviso buche di sabbia che ci fanno scattare in piedi sulle pedane, e quando la sabbia comincia  diventare via via più rada ecco che arrivano pietraie terribili spesso in salita che culminano con delle vere e proprie trincee o con dei guadi profondi.
Ci sudiamo la pagnotta guidando sulle uova per non fare danni alle moto (e si, anche a noi stessi), ma tutta questa attività alzati\siediti\scatta\evita il masso a 4000 metri è bella tosta. Ogni volta che ci fermiamo per riprendere fiato e possiamo veramente guardarci intorno rimaniamo a bocca aperta per gli spazi immensie deserti, la cui bellezza culmina quando scolliniamo e vediamo per la prima volta il lago.
C’è una luce pazzesca, l’acqua è color cobalto e contrasta con il blu del cielo. Senza parole.
Convinti che il peggio della strada sia passato giochiamo a fare foto, cazzeggiamo un po’, ma poi….nonostante sul GPS la traccia della strada sia sempre chiara e so che stiamo andando nella direzione giusta, trovare la strada da seguire diventa improvvisamente complicato perché c’è una moltitudine di solchi che si potrebbero seguire ma alcuni sono delle trappole sassose o conducono sul bordo di un ruscello le cui sponde non permettono l’attraversamento.
Un paio di volte scendo e vado a piedi per cercare di capire dove è meglio passare, altre mi pianto scegliendo il punto sbagliato in cui guadare finendo in una pozza di terra molle che richiede le spinte del buon Pastelero per uscirne.
Pastelero che, ad un certo punto nel mezzo del nulla più completo mi scompare dagli specchietti. Mi fermo. Aspetto qualche minuto, non arriva.
Torno indietro (mannaggia che mi serve ogni goccia di benzina per riuscire ad arrivare a Murghab dove troverò il primo rifornimento) e per fortuna dopo meno di due km scorgo in lontananza il suo faro.
E’ caduto, un guado, una pietra presa male, la moto che sbatte sulla destra. Giacomino sta bene, solo il classico mal di schiena da “ammazza quanto pesa da tirare su ‘sta moto”.
Mentre mi racconta cosa è successo noto uno zampillo di acqua dal tubo del circuito di raffreddamento, per fortuna una sciocchezza che ripariamo velocemente e pare tenere.
Nuovamente la strada scompare sull’altopiano, e solo aiutandoci con il gps e scrutando come marinai alla ricerca della terra promessa i di segni di altri pneumatici riusciamo a mantenere la direzione che speriamo ci porti presto ad un campo di yurte del quale ci ha informato Nigel per trascorrervi la notte.
Un altro paio di guadi molli nei quali mi pianto come un pirla, e finalmente scorgiamo in lontananza le tende.
Ci accasiamo in una di queste con le donne di casa che ci accolgono con calore, per fortuna smozzicando un po’ di inglese. Il calore della tenda, il sorriso delle persone, la cena che ci stanno preparando sulla stufetta alimentata a cacca secca di gnu o di crotalo non so, il sole che sta tramontando e che allunga le ombre a dismisura, la purezza dell’aria fredda, i bambini bellissimi con il moccio al naso, la capra bluetooth (che se ti avvicini a meno di 5 metri poi ti segue con un drone), un piccolo lago blu in lontananza.
Sono felice, è tutto perfetto. E chi se ne frega se sarà solo per un momento o qualche ora.


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