Questo viaggio non ha mai avuto un nome, un titolo. Ma se ne
avesse mai avuto uno sarebbe stato: Bartang. Si perché io e Giacomino abbiamo
iniziato a parlare di tornare ancora una volta quaggiù prima di tutto per
tentare di percorrere tutta questa vallata lunghissima (280 km), selvaggia ed
inospitale.
Per di più difficilmente percorribile, da quanto abbiamo
letto sui vari forum di motoviaggiatori, con moto pesanti come la mia (ma anche
quella di Giacomo non scherza pur essendo un monocilindrico).
Le informazioni raccolte su internet in questo ultimo mese
non ci hanno mai lasciato grosse speranze di poterla percorrere tutta. I
problemi sono fondamentalmente tre: il primo, quello forse minore, l’autonomia
di benzina che pare non essere disponibile lungo tutto il percorso, il secondo
le frane sul tratto che dall’ultimo paese in fondo alla valle (Gudara, 158 km
dall’inizio) in certi punti lasciano pochissimo spazio per passare….e al di là
di quello spazio si vince un volo verso il basso.
Il terzo infine è dovuto al fiume Bartang che è costretto
tra pareti di roccia molto strette, e che in questo caldissimo agosto sta
tirando giù i metri e metri di neve caduti nell’inverno più nevoso degli ultimi
70 anni andando a sommergere la strada che in molti punti scorre molto in basso
rispetto alle acque.
Con tutte queste premesse, la strategia di massima prevedeva
di avere sufficiente autonomia per arrivare almeno fino a Gudara e poter
tornare indietro, poco più di 300 km quindi. La mia moto sbevazza molto di più
del Tenere di Giacomo e anche a parità di capienza lui può viaggiare sereno, io
bisogna che faccia sempre un po’ di conti.
Partiamo alla volta di Rushan, che sta giusto all’imbocco
della valle e dove facciamo un rifornimento mettendo ogni goccia possibile di
benzina nel serbatoio, e ci infiliamo tra le strette pareti della Bartang
dosando amorevolmente il gas per aumentare l’autonomia.
Il fiume si mostra immediamente in tutto il suo color
caffelatte e la sua forza, schiumando e saltando sulle rocce, o allargandosi
mangiando quasi tutti gli spazi che gli sono concessi. Chilometro dopo
chilometro notiamo che la strada è in condizioni nettamente migliori rispetto
alla Wakhan, ovviamente perché la Bartang per le sue difficoltà e per quanto è
poco abitata ha un via vai di mezzi molto inferiore.
Non passa molto che incontriamo una coppia di ciclisti
polacchi che smonta sul nascere le nostre speranze: chilometri più avanti
l’acqua sulla strada è alta circa un metro e anche i mezzi dei locali sono
fermi in attesa che scenda. Decidiamo comunque, visto che siamo qui e siamo
ficcanaso, di andare avanti finchè si può.
Il posto è pazzesco! Altro che Wakhan! La pista sale e
scende sul fiume, talvolta passiamo in punti in cui si vede che le acque si
sono allargate ancora di più di quanto non lo siano ora, passiamo in pezzi dove
la carreggiata è larga non più di due metri e a strapiombo ed altri dove
l’acqua corre accanto a noi e basterebbero due dita in più per farla esondare.
Attraversando un ponte inquietante di legno e sottili lastre
di metallo cambiamo sponda e all’uscita del villaggio la strada è stata
mangiata via, si passa poco più sopra, buche pozze e ruscelli scorrono ovunque,
sassi smossi nel greto e via. Al villaggio immediatamente successivo scrocco
tre litri di preziosa benzina che un tipo dalla faccia simpatica succhia dal
serbatoio di un camion che ha vissuto giorni migliori….per ringraziarmi di
avergli fatto bere un sorso di carburante ci invita a casa sua per un chai
accompagnato da susine dolcissime che raccoglie arrampicandosi su un albero.
Pure lui ed i suoi amici ci confermano che la strada è
assolutamente bloccata. Salutiamo e andiamo avanti, è troppo bello e vogliamo
arrivare fino dove possiamo. A qualche centinaio di metri da qui in effetti la
valle si stringe ancora di più e cominciamo a trovare pezzi di strada allagati.
I primi due prima li percorriamo a piedi per tentare di capire direzione da
prendere e consistenza del fondo (l’acqua è sempre caffelatte, non si capisce
nulla di cosa sta sotto e si capisce male dove la strada sottostante diventa
fiume vero e proprio), poi ci “lanciamo” a due all’ora con le moto.
Al terzo, 5 chilometri dopo il villaggio, nonostante non sia
il punto famoso con il metro d’acqua decidiamo prudentemente di abdicare.
Saranno 300 metri di pista sommersa, anzi sono due le piste sommerse…quella
originaria e la deviazioni che evidentemente serve in caso di acqua alta ma non
alta come oggi.
Probabilmente anche questo potremmo passarlo, ma dopo un
breve consulto decidiamo che rischiare qui per poi bloccarci certamente più
avanti non ha senso. Abbiamo ancora davanti 15 giorni abbondanti per
divertirci, e non vogliamo comprometterli solo perché siamo gasati.
Invertiamo la rotta, e liberi da razionamenti ed economie di
carburante ci lasciamo un po’ andare alzando il ritmo e la quantità di schizzi
nei guadi e nelle pozze. Rallentiamo solo quando incontriamo gli abitanti della
valle che, come avevo avuto modo di leggere e sapere, si rivelano di un calore
ed una simpatia commoventi.
Torniamo Khorog, stanchi morti ma comunque soddisfatti di
averci provato. Già facendo programmi per un futuro viaggio con il solo scopo di
sconfiggere anche la Bartang.
E mentre ingurgitiamo hamburger e pancakes al cioccolato
rielaboriamo il nostro percorso decidendo di rifare all’indietro anche la
Wakhan e chiedere il permesso per la riserva naturale del lago Zorkul.
Adoro viaggiare con Giacomino, primo perché è un pirla e su
questo ci siamo trovati. Secondo perché tra noi ogni scelta o rinuncia è sempre
facile e condivisa in meno di trenta secondi
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