domenica 6 agosto 2017

Bartang

Questo viaggio non ha mai avuto un nome, un titolo. Ma se ne avesse mai avuto uno sarebbe stato: Bartang. Si perché io e Giacomino abbiamo iniziato a parlare di tornare ancora una volta quaggiù prima di tutto per tentare di percorrere tutta questa vallata lunghissima (280 km), selvaggia ed inospitale.
Per di più difficilmente percorribile, da quanto abbiamo letto sui vari forum di motoviaggiatori, con moto pesanti come la mia (ma anche quella di Giacomo non scherza pur essendo un monocilindrico).
Le informazioni raccolte su internet in questo ultimo mese non ci hanno mai lasciato grosse speranze di poterla percorrere tutta. I problemi sono fondamentalmente tre: il primo, quello forse minore, l’autonomia di benzina che pare non essere disponibile lungo tutto il percorso, il secondo le frane sul tratto che dall’ultimo paese in fondo alla valle (Gudara, 158 km dall’inizio) in certi punti lasciano pochissimo spazio per passare….e al di là di quello spazio si vince un volo verso il basso.
Il terzo infine è dovuto al fiume Bartang che è costretto tra pareti di roccia molto strette, e che in questo caldissimo agosto sta tirando giù i metri e metri di neve caduti nell’inverno più nevoso degli ultimi 70 anni andando a sommergere la strada che in molti punti scorre molto in basso rispetto alle acque.
Con tutte queste premesse, la strategia di massima prevedeva di avere sufficiente autonomia per arrivare almeno fino a Gudara e poter tornare indietro, poco più di 300 km quindi. La mia moto sbevazza molto di più del Tenere di Giacomo e anche a parità di capienza lui può viaggiare sereno, io bisogna che faccia sempre un po’ di conti.
Partiamo alla volta di Rushan, che sta giusto all’imbocco della valle e dove facciamo un rifornimento mettendo ogni goccia possibile di benzina nel serbatoio, e ci infiliamo tra le strette pareti della Bartang dosando amorevolmente il gas per aumentare l’autonomia.
Il fiume si mostra immediamente in tutto il suo color caffelatte e la sua forza, schiumando e saltando sulle rocce, o allargandosi mangiando quasi tutti gli spazi che gli sono concessi. Chilometro dopo chilometro notiamo che la strada è in condizioni nettamente migliori rispetto alla Wakhan, ovviamente perché la Bartang per le sue difficoltà e per quanto è poco abitata ha un via vai di mezzi molto inferiore.
Non passa molto che incontriamo una coppia di ciclisti polacchi che smonta sul nascere le nostre speranze: chilometri più avanti l’acqua sulla strada è alta circa un metro e anche i mezzi dei locali sono fermi in attesa che scenda. Decidiamo comunque, visto che siamo qui e siamo ficcanaso, di andare avanti finchè si può.
Il posto è pazzesco! Altro che Wakhan! La pista sale e scende sul fiume, talvolta passiamo in punti in cui si vede che le acque si sono allargate ancora di più di quanto non lo siano ora, passiamo in pezzi dove la carreggiata è larga non più di due metri e a strapiombo ed altri dove l’acqua corre accanto a noi e basterebbero due dita in più per farla esondare.
Attraversando un ponte inquietante di legno e sottili lastre di metallo cambiamo sponda e all’uscita del villaggio la strada è stata mangiata via, si passa poco più sopra, buche pozze e ruscelli scorrono ovunque, sassi smossi nel greto e via. Al villaggio immediatamente successivo scrocco tre litri di preziosa benzina che un tipo dalla faccia simpatica succhia dal serbatoio di un camion che ha vissuto giorni migliori….per ringraziarmi di avergli fatto bere un sorso di carburante ci invita a casa sua per un chai accompagnato da susine dolcissime che raccoglie arrampicandosi su un albero.
Pure lui ed i suoi amici ci confermano che la strada è assolutamente bloccata. Salutiamo e andiamo avanti, è troppo bello e vogliamo arrivare fino dove possiamo. A qualche centinaio di metri da qui in effetti la valle si stringe ancora di più e cominciamo a trovare pezzi di strada allagati. I primi due prima li percorriamo a piedi per tentare di capire direzione da prendere e consistenza del fondo (l’acqua è sempre caffelatte, non si capisce nulla di cosa sta sotto e si capisce male dove la strada sottostante diventa fiume vero e proprio), poi ci “lanciamo” a due all’ora con le moto.
Al terzo, 5 chilometri dopo il villaggio, nonostante non sia il punto famoso con il metro d’acqua decidiamo prudentemente di abdicare. Saranno 300 metri di pista sommersa, anzi sono due le piste sommerse…quella originaria e la deviazioni che evidentemente serve in caso di acqua alta ma non alta come oggi.
Probabilmente anche questo potremmo passarlo, ma dopo un breve consulto decidiamo che rischiare qui per poi bloccarci certamente più avanti non ha senso. Abbiamo ancora davanti 15 giorni abbondanti per divertirci, e non vogliamo comprometterli solo perché siamo gasati.
Invertiamo la rotta, e liberi da razionamenti ed economie di carburante ci lasciamo un po’ andare alzando il ritmo e la quantità di schizzi nei guadi e nelle pozze. Rallentiamo solo quando incontriamo gli abitanti della valle che, come avevo avuto modo di leggere e sapere, si rivelano di un calore ed una simpatia commoventi.
Torniamo Khorog, stanchi morti ma comunque soddisfatti di averci provato. Già facendo programmi per un futuro viaggio con il solo scopo di sconfiggere anche la Bartang.
E mentre ingurgitiamo hamburger e pancakes al cioccolato rielaboriamo il nostro percorso decidendo di rifare all’indietro anche la Wakhan e chiedere il permesso per la riserva naturale del lago Zorkul.

Adoro viaggiare con Giacomino, primo perché è un pirla e su questo ci siamo trovati. Secondo perché tra noi ogni scelta o rinuncia è sempre facile e condivisa in meno di trenta secondi

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