martedì 22 agosto 2017

Una vacanza. Non un viaggio

Lungo la pista che da nord-est scende dal Song Kol quattro anni fa mi capitò una delle cose che più ho impressa dei miei viaggi. Io Giacomo e Andrea ci fermammo per fare una foto alla quale seguirono chiacchiere e sigaretta, e nel frattempo si avvicinò a noi il solito bambino curioso uscito da una casetta li vicino.
Ricordo che avevo in una borsa un astuccio pieno di pennarelli e block notes presi all'ultimo momento da regalare ai bambini che avremmo incontrato, e ricordo anche che ne avevo presi troppi e che ci litigavo ogni volta che dovevo frugare tra i bagagli, così li regalai a quel bimbo.
Quello che non dimentico è la gioia sfrenata che lessi nei suoi occhi e nella sua corsa a perdifiato verso casa con le mani piene di carta e pennarelli, il suo continuo voltarsi verso di noi per salutarci e ringraziarci e la corsa felice e scomposta. Mi sono sempre pentito di non avere avuto la prontezza di tirare fuori la telecamera che di solito durante quel viaggio avevo sempre in mano...ma in fondo non importa, perchè non lo dimenticherò mai...
Ci rimangono 3 giorni da spendere prima di consegnare le moto a Bishkek, e da Kochkor dove dormiamo decidiamo di fare un giro ad anello che ci porti verso la Suusamyr Valley per poi tornare a Kochkor facendo una pista che valica il passo Karakol, a sud della catena di montagne che ci separa proprio dalla capitale.
L'andata verso Suusamyr in effetti almeno per i primi 100 km è alquanto noiosa, tanto che ad ora di pranzo passiamo due ore a costruire una diga di sassolini su un fiume all'ombra di una betulla per trovare un pò di eccitazione (87 anni in due....). Ci rifacciamo parzialmente gli occhi solo negli ultimi 70 km sterrati lungo il fiume Kokomeren, lungo una gola che stringe le acque super blu. Dopo un pò di vagabondaggio alla ricerca di un posto decente dove dormire ci piazziamo in quello che dovrebbe essere un campo di yurte e che in realtà è due yurte, due cessi di cui uno con la porta divelta e vista tangenziale e 5 container adattati a camere. Una porcheria insomma, utile solo a farci smaltire un paio di buste di risotto scaldato sul fornelletto a gas pur di evitare una cena ad alto potenziale schifezza.
Durante la notte fa un freddo cane, anche perchè "il vento" (ma più probabilmente Giacomino che si alza a fare pipì) lascia la porta spalancata. E fuori piove. Piove. Piove pesantemente e rumorosamente sulla lamiera del nostro loculo 5 stelle superior.
Quando l'impellente bisogno costringe anche me ad abbandonare le sacre coltri mi accorgo che non piove più, ma sotto il cielo pesante le cime delle montagne intorno a noi sono imbiancate di neve. Ci mettiamo circa 10 minuti per decidere che se qui siamo a 2000 metri e la quota neve a occhio è a 2500/2700, fare il passo Karakol a 3500 metri in una valle secondaria a traffico zero è una cosa che proprio non ci va e quindi l'ultimo giorno di viaggio non sarà domani ma oggi. Si va a Bishkek.
Ci imbacucchiamo (mi imbacucco) di tutto punto per affrontare il valico a 3200 sulla M41 che sta proprio qui a pochi chilometri e in un paio d'ore siamo di nuovo all'hotel Salut dove 25 giorni fa abbiamo iniziato le nostre peregrinazioni.
Due giorni di cazzeggio, dormite, chiacchiere con altri viaggiatori, progetti già per un prossimo viaggio, birre, cibo è tutto quello che chiediamo prima di saltare sul volo che ci riporterà in Italia.

Non è stato un vero e proprio viaggio, è stata una vacanza avventurosa. Senza lo stress di una tabella di marcia, senza la pressione di tempi da rispettare, visti che scadono, contrattempi e rompicapi da risolvere, senza guasti, con i giusti tempi per riposare.
L'avere a disposizione tempo, la cosa più preziosa, ci ha dato la serenità di poter affrontare qualche pista ostica che probabilmente per prudenza in un viaggio con un programma da rispettare per prudenza non avremmo fatto.
E' stato bello, bellissimo, anche tornare al lavoro senza la stanchezza mentale e fisica degli anni precedenti.
Ma in fondo....lo stress, la fatica, l'adrenalina, le bestemmie e i guai...sono le cose che rendono indimenticabili i viaggi.
E un pò questo mi è mancato.

martedì 15 agosto 2017

Il lago sbagliato

Kel Suu. Seguo la pagina facebook di qualchecosa del Kyrgyzstan, e un giorno sparano questo video di due tizi che su un Land Rover Defender si arrampicano a forza di bestemmie e fumate nere dallo scarico lungo la classica verdissima valle kirgiza fino ad un lago pazzesco incastrato tra pareti di roccia a strapiombo.
Il video in una settimana grazie a Repubblica viene rimpallato da un mare di gente perchè...dai, perchè è pazzesco. Quella sera stessa ricordo di aver chiamato Giacomo e avergli detto "ci andiamo".
Nei giorni della nostra prima visita a Naryn una settimana fa il cagotto ed il mal tempo ci hanno fatto rivedere i piani di "attacco" al lago, prendendola larga e mettendoci in mezzo l'Yssyk Kol, l'abbruttimento ed il passo Tosor.
Ma ora che siamo di nuovo a Naryn ed il tempo è sereno (ma non caldo, per niente) niente più ci ostacola da partire per questi 140km che ci separano dalle acque turchesi del Kel Suu.
I primi 60 km di pista, miliardo di buche a parte, sono facilissimi, ma i successivi 3 lasciano intuire che quassù deve essere piovuto molto di recente (stanotte forse) perchè il fondo duro e di ghiaia sempre più spesso lascia il passo a macchie fangose e scivolose. Poche centinaia di metri sopra le nostre teste una netta striscia di neve fresca dimostra che non ci sbagliamo di troppo...
Raggiungiamo rabbrividendo il check point militare al quale mostriamo passaporti ed il permesso speciale fatto qualche giorno fa. Siamo a 3400 metri e fa un freddo cane, non ho un termometro ma da quanto sono vestito e per il freddo che ho saranno 5 gradi.
Superata la sbarra del check point, la strada diventa un casino: una fanga profonda, scivolosa e densa si stende su tutta la larghezza della carreggiata. Mi alzo sulle pedane, culo indietro e seconda marcia spalancata, in qualche modo passo il primo chilometro. Giacomino dietro di me rimane un pò indietro, lui non ha nè le gomme ben tassellate come le mie nè la scuola "fangazza del Tassobbio" a dargli quel minimo di confidenza con terreni così.
Sigaretta e riunione di famiglia. La strada davanti a noi prosegue  guale fin dove possiamo vedere, abbiamo ancora 70 km per l'accampamento di yurte prima del lago, dei quali circa metà sulla pista principale (questa) e l'altra metà che dio solo sa come può essere.
Xenia e Cristiano ci hanno detto che è tutto facile, ma questo fango mescola le carte in tavola.
Come sempre tra noi, le decisioni sono molto facili. E la decisione è che qui la fatica supera il gusto, e visto che non dobbiamo dimostrare niente a nessuno ma solo divertirci giriamo le moto e diciamo "arrivederci" al Kel Suu.
Le guardie ci vedono ritornare dopo meno di mezz'ora da quando eravamo passati, ci guardano un pò stupiti e a gesti spiego loro perchè siamo già li. Sorridono, ci augurano qualcosa che non capisco, e di nuovo la sbarra si alza sopra le nostre teste.
Altro miliardo di buche, altro rifornimento a Naryn che stavolta passiamo di volata senza fermarci, e imbocchiamo la pista per il Song Kol che avevamo saltato giorni fa a causa del malessere di Giacomo.
Siamo già stati qui e sappiamo che la pista che sale ai 3000 metri dell'altopiano è favolosa, un serpente che sale e scende e si contorce tra colline e montagne sempre più alte, vallate verdissime e torrenti ghiacciati. In fondo all'ultima vallata, la strada si impenna in decine di tornanti che ricordavo meno scavati dalla pioggia, ma comunque con l'Africa si va su in scioltezza e nemmeno mi disturbo ad alzarmi in piedi per evitare le sconnessioni. La foto dei tornanti visti dall'alto è un grande classico di tutti i viaggiatori che si arrampicano fin qui.
Finiamo per accamparci in un gruppetto di yurte staccato dal grande accampamento gestito dal CBT (una sorta di ente del turismo kirgizo), vicino ad una piccola laguna, ad una radura con buffi  montarozzi di terra coperti da erba e cavalli che brucano e si abbeverano.
Passeggiamo, parliamo, ci godiamo il tepore del sole che immancabilmente al tramonto si trasformerà in un gelo mortale (almeno per me che soffro molto il freddo). Ce la godiamo, e l'aver rinunciato al Kel Suu non ci pesa più di tanto...
Qua siamo a 3000 metri, il pomeriggio è tiepido e la notte si schiatta. Mi chiedo solo che freddo avrebbe fatto lassù  a 3500 considerando che a mezzogiorno c'erano 5 gradi !!
Per la cronaca ceniamo alle 20, temporeggiando perchè la yurta dove mangiamo è scaldata a cacca di bue e si sta un amore. Ma già prima delle 21.30 siamo in branda.
Abbigliamento di Radini: mutande, calze, maglia a maniche lunghe, sacco a pelo Decathlon con temperatura comfort 15°e copertina leggera.
Abbigliamento di Fantozzi: maglia termica a maniche lunghe, pile pesante, pantaloni lunghi con calzettoni di spugna rimboccati sopra, cappello di lana calato sugli occhi, sacco a pelo con temperatura comfort 4°, copertona pesantissima e coperta di pecora.
E svuotamento della vescica più volte rimandato al mattino per non abbandonare le sacre coltri durante le 11 (undici!) ore di sonno.


domenica 13 agosto 2017

Pereval Tosor

La pioggia violenta che ieri pomeriggio ci ha fatto riparare sotto ad un albero per limitare i danni (ecco un consiglio, non riparatevi durante una tempesta sotto alberi carichi di albicocche mature se non volete la marmellata sul casco), il giorno dopo si è trasformata in cupe nubi nere sulle montagne e sprazzi di pioggia mista sole.
Cristiano ieri ci ha detto che Sambor di solito da queste parti si ferma alla guesthouse Tamga, e bene abbiamo fatto a fidarci della dritta. Dietro al solito anonimo cancello di ferro senza uno straccio di scritta che dica "quisidorme" c'è una sorta di micro villaggio fatto di casette, una yurta avvolta in un giardino lussureggiante, uno shop pieno di cappelli buffi, un pastore tedesco enorme, vecchissimo e sordo come una campana  con lo sguardo cosi triste da farti venire voglia di grattargli le orecchie per ore per farlo sorridere.
Ci abbruttiamo un giorno intero perchè il passo Tosor sta lassù, a 3800 metri e solo 40 km di pista da dove siamo, e se quelle nubi nere dicono la verità è da deficienti pensare di salire oggi. Noi deficienti un pò lo siamo, ma non così tanto.
Andiamo a letto alle 22 giusto perchè alle 20.30 sarebbe troppo da sfigati, e per questo alle 6.30 ho un occhio già aperto e....c'è un sole che spacca!!! Daje, si va e con le migliori condizioni!
Costeggiamo per qualche chilometro il blu perfetto dell'Yssyk Kul e svoltando sulla pista ce lo mettiamo negli specchi retrovisori per perderlo di vista dopo poco. 
Come tutti i giorni in cui so che devo affrontare qualche pista "scomoda" mi sento zavorrato, con il freno a mano tirato. Sono sempre stato un diesel, anche nei giri in giornata in Italia alla mattina faccio molta fatica a carburare e lasciarmi andare e oggi è uguale. Procedo piano piano cercando di capire cosa ci aspetta, ma in realtà qualcosa so già perchè prima di partire ho fatto i compiti.
In più Xenia a Kazarman mi ha dato informazioni di prima mano (lei e Martin sono stati qui meno di un mese fa), ma si sa....ognuno ha la propria abilità, sensibilità, paure, moto, quindi tutti i consigli trovano sempre un pò il tempo che trovano.
Perdo per un momento la direzione saltando una svolta, ma una volta imboccata la traccia corretta diventa tutto estremamente semplice e chiaro. Chiaro intanto che ci sono tratti di terra indurita dal sole che sembrano le onde del mare da fare o in prima marcia piano piano, o in terza a tutto fuoco per saltellare sulle creste (che saranno alte 20 cm....).
Prudenza e incapacità ci fanno optare per la calma e tra pascoli, branchi di cavalli, greggi di pecore cagasotto saliamo e saliamo e saliamo. Alla prima pausa foto/sigaretta dopo un'ora abbiamo percorso 27 km, e siamo saliti di 1800 metri di quota! Dai 1600 metri del lago ora siamo a 3400 e questa ascesa così rapida e repentina mi fa girare un pò la testa anche se l'altitudine in genere non mi crea mai problemi.
Mancano gli ultimi 400 metri di dislivello e per quel che ne so una quindicina di chilometri al passo. L'avvicinamento viene scandito da un crescente numero di pozze d'acqua ancora ghiacciate, e dal paesaggio che diventa sempre più un caos di rocce, frane, massi enormi spaccati dal gelo.
Gli ultimi tre chilometri sono motociclisticamente demenziali: ripidi, distrutti da canaloni pieni di pietre seguiti da tornanti in salita ricoperti di sassi grossi appuntiti e smossi, avvallamenti in cui il davanti della moto sparisce per impennarsi subito dopo rischiando di piantarmi la carena tra le gengive.
Si va su solo ed esclusivamente in prima e solo raramente accennando una timida seconda (sfrizionando perchè moto a carburatori e quasi 4000 metri vanno d'accordo il minimo indispensabile), normalmente ci sono 1-2 secondi di tempo per saltare su un pietrone, atterrare e decidere se prendere quello successivo dritto per dritto o tentare di evitarlo zigzagando sul sentiero.
All'uscita di un tornante prendo la direzione sbagliata e la pago con una clamorosa pietrata sotto al paracoppa, talmente forte che a distanza di 10 ore ancora non ho voluto guardare sotto per vedere cosa è successo. Non piovono liquidi, quindi non è stata disastrosa...tanto basta.
Mi fermo e sbracciandomi evito almeno a Giacomo di fare il mio stesso errore, e immediatamente dopo siamo in cima.
Non è una vittoria, ma è una bella liberazione! Questi ultimi chilometri sono tra i più difficili che abbia mai fatto in moto, senza dubbio....e li ho fatti senza cadere. Grazie mamma per le gambe lunghe :) 
Una paglietta e tanti "porca troia" ansimanti dopo cominciamo la lunga discesa fino a Naryn (40 km per salire, 170 per scendere) che ci porterà a ricongiungerci con la verdissima e favolosa valle fatta tre anni fa insieme a Stefano. 
Gli spazi rocciosi e opprimenti del lato nord del passo si aprono diventando immensi, la strada migliora tanto riservandoci ancora solo poche difficoltà generalmente legate a deviazioni per aggirare frane che ci fanno giocare gli ultimi jolly. 
Poi diventa tutto un fare foto, fermarsi a chiacchierare, aprire le prese d'aria sulle giacche per godere del caldo ritrovato, scivolare leggeri su una pista liscia come un biliardo.
A 80 km da Naryn riconosco il posto dove nel 2014 abbiamo riempito i serbatoi ormai deserti, trascorso la notte e conversato con Gula che parlava un buon inglese. C'è un vecchietto che nel mini-shop ci vende due barrette di cioccolata e del tè freddo. Gli chiediamo di Gula e non pare capire, scrivo sulla strada di ghiaia e faccio gesti e capisce che siamo già stati qui, chiama il nipote che è il fratello di Gula.
Seduti nella modesta casetta del nonno, Azamat ci racconta che la sorella lavora a Bishkek e sta studiando il cinese, lui invece studia e sogna di venire a studiare in Europa e come tutti i giovani kirgizi che parlano un pò di inglese ha una gran voglia di fare pratica e fa un mare di domande.
Mentre ci parla con cosi tanta speranza della sua voglia di venire a fare l'università in Italia non posso non provare un pò di tristezza perchè questi ragazzi non si rendono conto di quanto sia maledettamente difficile e costoso riuscirci....
In bocca al lupo Azamat, noi dobbiamo ripartire ma tu metticela tutta!
Naryn ci accoglie nuovamente, calda e stranamente vuota di turisti. Nella guesthouse che abbiamo lasciato piena di gente solo due giorni fa oggi dormiamo solo noi.
Ci rimangono solo pochi giorni, mi rimangono pochi tasselli ma abbiamo ancora una meta importante a darci la carica...incrociamo le dita per il meteo!! 

Ci si vede a Kyrgyzstan

Il giorno di abbruttimento a Naryn ci è servito non solo per stabilire chi è il più forte nei 100 metri ma anche per fare il permesso per il lago Kel Suu, una meraviglia incastrata tra le montagne del Tien Shan a pochi chilometri dalla Cina. E’ da quando abbiamo visto un bellissimo video su Youtube questa primavera che smaniamo per venirci, e ora siamo a soli 136 chilometri dalle sue acque turchesi.
Però, c’è un bel però. Il meteo.
Qua non siamo in Tajikistan dove l’aridità limita le precipitazioni estive a quasi zero…il passaggio tra un paese e l’altro a pochi chilometri da Sary Tash rende chiaramente l’idea della differenza climatica dei due paesi. Venendo dal Tajikistan e superando il passo Kyzyl Art si passa dalla desolata aridità ai pascoli rigogliosi, dalla roccia nuda alle foreste di abeti. Il Pamir è un formidabile spartiacque climatico.
Il lago Kel Suu è a  3500 metri di altitudine, è impensabile andarci nei prossimi due giorni nei quali hanno messo pioggia e temporali perché il rischio, oltre che rovinarsi la giornata, è che lassù nevichi. E comunque le acque turchesi del lago con il maltempo sarebbero grigie…
Dopo lunghe discussioni, piani ed ipotesi, decidiamo di non rimanere un altro giorno fermi a Naryn a fare la muffa ma di spostarci verso nord est lungo la sponda meridionale del lago Yssyk Kol fregandocene dell’eventuale maltempo perché tanto è tutto asfalto, da li tentare di fare un passo di montagna bello tosto (il passo Tosor) che ci riporterebbe dopo un paio di giorni di nuovo a Naryn, per poi sfruttare gli ultimi giorni del nostro viaggio che dovrebbero essere baciati dal sole (grattata di balle) per fare il Kel Suu.
Circa a metà dei 280 km che ci separano dal villaggio di Tosor (dove parte la pista per il passo) scorgiamo in lontananza un uomo capelli lunghi e camicia che si sbraccia in mezzo alla strada. E’ Cristiano, il Master of Puppets del Kirgizstan! Quello che due giorni fa da Milano organizzava l’appuntamento con Xenia per lo scambio della gomma. Con lui ci sono la sua compagna Sabrina, e Wizz che è partito dall’Italia due mesi fa con la morosa e che sta andando in Mongolia. Wizz è un matto (ma matto vero, visto che è andato a Capo nord in moto a febbraio) e nonostante sia molto giovane è già una celebrità tra i motociclisti viaggiatori italiani.
Insomma…. ’sto kirgizstan è veramente microscopico! Continuiamo ad imbatterci in amici, conoscenti, ad incontrare in luoghi diversi sempre le stesse persone (tipo Joshua, incontrato stamattina per la terza volta a 600 chilometri da dove lo avevamo visto giorni fa). Sembra una festa più che un viaggio.
Dopo i reciproci auguri di proseguimento ognuno per le proprie mete, io e Giacomo constatiamo felicemente che il maltempo ce lo siamo lasciati alle spalle e che davanti a noi il cielo è sereno e la temperatura una volta raggiunte le sponde dell’immenso Yssyk Kol è finalmente piacevole.

La nostra felicità, è superfluo dirlo, durerà circa i 18 minuti necessari ad un nerissimo fronte temporalesco per inseguirci e raggiungerci riducendoci a crostini di pane ammollati nella zuppa

La maledizione di Montezuma

Tutte le strade portano a Kazarman, l’ho già scritto diverse volte negli anni scorsi.
E visto che è “solo” la quarta volta che passiamo di qui, stavolta almeno prendiamo una strada diversa per metterci alle spalle la perla del Kirgizstan (sono abbondantemente ironico, ovviamente).
Decisi ad andare ad una delle vere perle di questa parte dell’Asia Centrale, il lago Song Kol, ci dirigiamo sulla facile pista sterrata verso est procedendo molto distanziati perché la polvere che si solleva è una nube malefica, e perché Davide è ancora in crisi con il concetto che in sterrato per non ondeggiare come una barca ad ogni mucchietto di ghiaia devi aprire il gas. Aprirlo con decisione, non fare finta.
Giacomo da stamattina non sta per niente bene. Si lamenta (e questa non è una novità), sbuffa, dice che è fiacco, appena può si spatascia al suolo come un gatto spiaccicato sull’asfalto. Per un po’ lo prendo per il culo, poi sdrammatizzo, poi lo ignoro…di solito funziona.
All’ennesima sosta per aspettare Davide che rimedia circa 10 minuti di distacco ogni mezz’ora di guida ci piazziamo sotto ad un misero alberello appena dopo un tornante, quando vediamo arrivare arrembante una Audi 100 (anni ’80) che tutta arrogante fa la curva full gas, derapa, sgomma, sgasa e….perde la ruota posteriore sinistra fermandosi in 4 metri come una balena spiaggiata. Il tutto sotto i nostri occhi e così velocemente che non abbiamo nemmeno il tempo (o forse la voglia) di fare un passo indietro.
Rimaniamo li senza sapere cosa dire e certamente senza sapere cosa fare, ed in pochi istanti c’è un tizio grassottello molto sudato che cerca di infilare il cric sotto l’auto, un vecchio con i denti tutti d’oro che ci guarda sorridente e fiero nonostante il patatrac e dice indicando la vecchia Audi “germansky, good!!” facendo ok con il pollice, io e Giacomo che camminiamo lungo la curva cercando i TRE bulloni che si sono staccati, due vecchie con i gambaletti color carne che si attaccano al telefono e Davide che si accende un’altra sigaretta. Un perfetto teatrino dell’assurdo.
Dopo pochi minuti certi che i nostri quasi investitori se la sappiano cavare egregiamente senza il fumo delle nostre sigarette intorno, ce ne andiamo.
Giacomo però sta veramente poco bene. E quando siamo quasi nel presso del bivio che verso nord porterebbe al lago decidiamo che è meglio non salire a 3000 metri in un posto molto freddo e con i soliti cessi scavati in terra a 50 metri da una yurta, ma pigliare una stanza in una guesthouse a Naryn e vedere se è un malessere passeggero o altro.
Purtroppo per lui i 100 km di asfalto che ci mancano diventano più di 140 e quasi tutti di pista (facilissima ma pur sempre più lenta) a causa dell’interruzione di un ponte che ci impedisce di cambiare lato della valle. Per nostra fortuna Davide pare aver fatto suo il concetto di “Davideeeeee!! Gaaaassss!!” e i tempi di attesa si riducono parecchio.
Ci appollaiamo il più velocemente possibile a Naryn, con Giacomo che alterna corse in bagno a stati di coma profondo a letto.
La mattina dopo sono io a svegliarmi marcio e dolorante e colpito dalla maledizione di Montezuma, e le corse verso il bagno mie e di Giacomo ricorderanno a lungo il dualismo Bolt – Gatlin sui 100 metri in questa inutile ed abbruttita giornata di stop forzato.