Stavo riflettendo sulla cabala dei viaggi, e mi sono accorto
che nel primo viaggio in Pamir abbiamo avuto problemi al ritorno (il cardano di
giacomo), nel secondo il giorno della partenza (la moto a noleggio di stefano),
nel terzo a caponord al ritorno (il cardano di giacomo e no, non è un errore di
ripetizione), in questo quarto viaggio la mia moto ha deciso di non partire nel
giorno in cui siamo arrivati a Bishkek. Batteria a terra, senza acqua
probabilmente per una mia negligenza pre-partenza. Sarà un segno? PAURA EH?!
C’è comunque un che di confortante nell’essere fermi in una
capitale vivace, con persone che ti aiutano, e alla vigilia di un viaggio che
per una volta ha un roadbook che ci lascia ampio margine. O meglio….non abbiamo
un programma ma 4 settimane di tempo, e questo è una novità lussuosa per noi.
Quando finalmente la mia batteria è stata ricaricata, tempo
un’ora persino le mie inette mani da meccanico riescono a rimontare tutto e
caricare i bagagli. Lo so che tra quelli che leggono ci sono molti che erano
pronti a sfottermi nel caso avessi fritto tutto l’impianto elettrico montandolo
a cazzo J
La prima meta è il lago di Toktogul, che dista 280 km. I
primi 100 ce li ricordiamo bene (passammo di qui nel 2013 diretti in
Kazakhistan) e sono una giungla di traffico, smog che brucia occhi e polmoni,
caldo soffocante, slalom tra le macchine che si spostano come se fosse Outrun
sul Commodore 64. A Kara Balta finalmente la strada piega verso sud
abbandonando la direttrice Bishkek-Taraz, la strada comincia a salire e tempo
qualche decina di chilometri iniziamo quantomeno a respirare.
Continuo a tenere un occhio incollato al voltimetro che
misura la carica della batteria in preda ad attacchi multipli di seghe mentali,
ma poi decido che è molto meglio tenere d’occhio l’ampia striscia di asfalto
che sale fino ai 3200 metri del passo Nonmiricordo. Ci sono da evitare camion
contro mano, auto contro mano, improvvisi pezzi sterrati, pecore contro mano,
tratti di asfalto talmente tanto sminchiato dal passaggio dei camion che sembra
abbiano appositamente asfaltato su sconnessioni a forma di onda del mare.
Le moto, ovviamente, si fanno meno problemi di noi
nonostante l’altitudine (altro cruccio che avevo, essendo la mia moto a carburatori).
Scesi dal passo troviamo giusto il tempo per fare i deficienti cantando Manamanà
duddududududu davanti alla statua di Manas, lasciare che 3 bulletti palestrati
si facciano un reportage fotografico sulla mia moto, e risalire a 3150 metri su
un secondo passo Chenonmiricordo (e studiatevi le cartine geografiche c....ribbio!!) avendo il culo di evitare un temporale brutto. Ma brutto-brutto-brutto
eh!
Siamo già nella modalità viaggio asiatico, cioè colazione
scarsa, pranzo niente, merendina con chai e pezzo di pane (con la marmellata se
va bene), e per cena segno della croce sperando che sia abbastanza corposa da
compensare il resto. La verità è che siamo abituati, almeno io, a mangiare come
un cinghiale selvatico quando sono a casa e qui i primi giorni guardo le
persone come se fossero porchette. Tutta questione di abituarsi…
Toktogul (la città non il lago) si trova a qualche
chilometro da Toktogul (il lago, non la città). Smadonniamo un po’ per trovare
una guesthouse, e alla fine ci piazziamo in una in cui i ragazzi che la
gestiscono appaiono quantomeno confusi sul da farsi. Si uniscono a noi due
ragazze svizzere che stanno terminando il loro viaggio di un mese in
Kirghizstan: Piera che ci procura le birre (nonostante le abbia detto che il
mio gatto si chiama come lei) e Anais che ha il colorito di uno che è appena
sceso dall’ottovolante e non si è trovato benissimo.
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