martedì 13 agosto 2013

RADDOPPIALATAPPA

Per scontare le comodità di ieri oggi ci siamo prefissati una tirata fino a Naryn.
Cosa che non diamo per scontato che sia fattibile visto che sono 380km, dei quali almeno la metà di fuoristrada con alcuni passi piuttosto elevati nel mezzo.
Michael, il simpatico austriaco conosciuto ieri, dice che si può fare tranquillamente e noi vogliamo fidarci.
Lasciamo Osh e i tanti motociclisti di diverse nazionalità incontrati, e imbocchiamo prima i viali trafficatissimi della città poi la veloce strada che collega il sud (Osh) con il nord del paese (Bishkek). La seguiremo fino a Jalal-Abad poi dovremo piegare verso l'interno e verso est.
Il problema  è che in questa zona del Kirghizistan il confine con l'Uzbekistan è talmente tanto contorto e folle che per coprire una distanza in linea d'aria di poche decine di chilometri tocca farne almeno il triplo. Oltretutto ci si mette anche il navigatore satellitare che tenta in tutti i modi di farci fare la strada più corta senza considerare che dovremmo uscire ed entrare dal paese due volte...ovviamente le mappe dei gps per l'Asia  Centrale non sono esattamente accurate come quelle dell'Europa.
Perdiamo dunque una mezzora vagando nelle campagne kirgize, salvo poi recuperare la rotta.
Peccato che si alza un vento fortissimo e tocca guidare di bolina per non farsi sbattere fuori.
Peccato che subito dopo inizia anche a piovere a dirotto. Ma a dirotto eh!
Ottimo...
Vabbè dai ma poi smetterà. Si certo...
Con il satellitare puntato sul paese di Kazarman, presso il quale la strada per Naryn si dirama in due, continuiamo a farci frustare dalle raffiche di pioggia. Il nostro passo rallenta, il cielo color acciaio mina la nostra convinzione di poter proseguire fino a destinazione.
Il problema è che la geografia della regione e la scarsità di strade non concedono grosse possibilità: o torniamo indietro a Jalal-Abad o andiamo avanti sapendo però di dover affrontare (solo per arrivare a Kazarman) un passo a 3100 metri e 100km di fuoristrada.
Alla fine vince la linea del "andiamo avanti, vediamo com'è al massimo si torna indietro".
Facendoci largo in mille paesini spogli a con poca vita, chiedendo indicazioni sulla strada corretta da prendere, troviamo infine un local che ci scorta per un chilometro fino all'imbocco della valle giusta.
La pioggia è intermittente nella sua intensità, ma non cessa mai. Lo sterrato inizia subito, piuttosto facile se non fosse che le buche piene d'acqua impediscono di valutarne la profondità (con conseguenti occasionali botte pazzesche alle ruote anteriori) e per alcuni tratti di strada "sistemata" con uno strato di terra rossa che si è trasformata in un fango scivoloso e assassino per l'equilibrio delle moto.
Saliamo e continuiamo a salire, incontrando decine di yurte di pastori con greggi di pecore mucche e cavalli. Tutti zuppi d'acqua come noi.
Controllo costantemente l'altimetro del gps contando i metri che ci separano dai 3100 del passo, pregando che le nuvole vengano fermate da questo versante della montagna e che di là non piova.
Man mano che la quota aumenta la strada peggiora di brutto. La manutenzione è ovviamente vicina allo zero, per cui la pioggia nel tempo ha scavato canali e solchi. In parecchi punti la strada si restringe a causa di parziali crolli e piccole frane. Tornanti strettissimi e ripidi. Dossi di fango da scavalcare.
Guido seduto sulla sella, non in piedi come sarebbe meglio fare con queste moto...ma soffrendo di vertigini e con strapiombi cosi alti e la strada cosi stretta stare seduto mi aiuta a concentrarmi solo su ciò che ho davanti. Procedo concentratissimo e senza incertezze, focalizzato al 100% sulla guida e su dove mettere le ruote.
A distogliermi da questa trance riesce solamente un ragazzo, avrà 15 anni, che in sella al suo cavallo mi si affianca. Sulle prime penso di dare fastidio al cavallo con il rumore della moto, poi realizzo che mi sta stuzzicando per fare una gara di velocità!! E lui è sul bordo della strada, di sotto il nulla!
A quota 2900 finiamo nelle nuvole, la visibilità si riduce a pochi metri. Intuiamo dall'aprirsi di  un grande spazio che siamo arrivati in cima. Fa freddo, 5° ma fortunatamente i miei compagni di viaggio non lo temono granchè e io mi sono imbacuccato in tempo aggiungendo un paio di strati sotto la giacca.
Ci auguriamo che dall'altra parte le cose possano migliorare, ma ancora non sappiamo che in realtà stanno per peggiorare ulteriormente...
Il primo peggioramento è una caduta di Giacomo. Stiamo procedendo lentamente tutti piuttosto vicini, quando dopo una curva non me lo ritrovo più negli specchietti. Vado avanti 100 metri per riuscire a vedere dietro l'angolo e Giacomino sta là...in piedi accanto alla sua moto ribaltata.
Un banale canaletto di terra lungo forse due metri gli ha preso la ruota davanti facendogli perdere il controllo verso sinistra buttandolo in terra sulla destra.
Rialziamo la moto e cominciamo il check-up dei danni: una freccia andata, il faro e la strumentazione che ballano, 8 chili di terra infilati ovunque e purtroppo la valigia di destra bella acciaccata.
In qualche modo, facendo un fagotto con il materassino da campeggio e qualche cinghia, Giacomo (che non s'è fatto nulla a parte il giramento di maroni) riparte.
Mancano 44km a Kazarman, ormai già da un pò ci siamo rassegnati al fatto che a Naryn non arriveremo mai e che dovremo fare 2 tappe per raggiungerla.
Scendendo di quota con la sola voglia di trovare un posto dove asciugarci, fare una doccia calda e mangiare qualcosa, ci imbattiamo in tratti di strada che ad occhio potrebbero consentirci di accelerare notevolmente il passo ma...la terra battuta che asciutta sarebbe da fare a 70/80 km orari è diventata una lastra di vetro. A questo si aggiungono lunghi tratti di fanghetto altrettanto viscido, se non peggio. Trasformando 40km in una agonia di quasi 2 ore.
Entriamo a Kazarman verso le 17, al riparo di una tettoia fatiscente prendiamo la Lonely  Planet per cercare una sistemazione, a cui segue la solita sfilza di domande a passanti per chiedere dove si trova perchè usanza kirghiza è  non avere nessun tipo di cartello o insegna.
Parcheggiamo le moto e scarichiamo i bagagli in una homestay, una signora piuttosto gentile che mastica anche qualche parola di inglese che affitta camere.
Memorabile il cesso a 100 metri da casa in mezzo agli alberi da frutto del giardino: una baracchetta di legno sospesa su una fossa profonda 3 metri dai cui recessi emana un fetore che solo i nostri sempre impellenti ed urgenti bisogni possono tollerare.
Bleah !!

PS: questa è stata una giornata no foto. Peccato, ma troppa pioggia.

2 commenti:

  1. beh...dopo tante peripezie direi che sei ampiamente scusato se non hai fatto foto!!!!

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  2. beh, dopo una giornata così di m... almeno un cesso decente io lo avrei preteso! e niente scuse x le foto: non hai la macchina sub???

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