domenica 11 agosto 2013

PAMIR

Da un rapido briefing serale scaturisce la decisione di non fare la Wakhan Valley ma di attraversare l'altopiano del Pamir per arrivare a Murghab.
Fatichiamo ad abbandonare il confort del nostro hotel "best in town" sia per pigrizia, sia per i problemi di pancia che mi affliggono da ieri mattina. Sapendo che dobbiamo percorrere solamente 320km quasi tutti di asfalto non ci mettiamo certo fretta, e infatti sono le 11 quando terminiamo tutte le operazioni pre-partenza (rifornimento, acquisto acqua e snack per uno spuntino).
La Pamir inzia subito alle porte di Khorog, nel punto in cui la prima macchina a percorrerla è stata trasformata in un monumento. Mentre ci fermiamo per fare 2 foto un vecchietto inizia a parlarmi in russo ad un palmo dal naso...sa di cipolla, parla a raffica, ma ha occhi furibissimi ed una grande energia. Ci dice che ha 91 anni (ne dimostra scarsi 70) ed una moglie di 62, cosa che lo fa ridere da morire :-)
Ripartiamo (o meglio, partiamo) su un ottimo asfalto salendo veloci all'interno di una grande vallata. Il paesaggio è arido e desertico, niente di indimenticabile.
Il GPS scandisce l'aumentare dell'altitudine, che è lento e costante. Ci vogliono quasi 100 km per passare dai 2000 metri di Khorog a 3000.
Incontriamo una coppia di svizzeri, ognuno in sella alla propria moto, che è in viaggio da 3 mesi e si sta dirigendo a Bishkek per il rientro. (Cesare, se stai leggendo sappi che uno degli adesivi del Tajikistan ha preso la via di casa di una bella ragazza di Sion)
In una delle numerose soste per foto ci rendiamo conto che già a 3800 metri fare 3 passi di corsa o movimenti bruschi provoca 2 minuti di fiato corto. Stiamo salendo rapidamente, senza alcun tipo di acclimatamento, e certamente i nostri già non atletici corpi iniziano ad avvertire gli scompensi dell'altitudine.
Che proseguono, ed aumentano, perchè continuiamo a salire ininterrottamente fino a 4298mt. I pochi chilometri di fuoristrada necessari per arrivare al passo si fanno sentire...si guida in piedi, i riflessi un pò intorpiditi, la fatica moltiplicata.
L'asfalto non è buono, sono migliaia gli avvallamenti più o meno profondi che le sospensioni delle moto devono sopportare oggi. Più e più volte sbatto violentemente la protezione paramotore inferiore contro il terreno, facendomi temere di vedere volare pezzi di metallo negli specchietti.
Dopo il passo il panorama diventa lunare...un immenso plateau circondato da montagne da 5-6000 metri, arido e di tutte le sfumature del giallo, del rosso e del marrone. Piccoli laghi spuntano qua e là ogni tanto, sfiorati dal nastro d'asfalto della strada.
Mi fermo per raccogliere in una bottiglietta un pò di sabbia da aggiungere alla mia collezione, e il semplice percorrere qualche decina di metri in salita mi lascia senza fiato. 4100 metri, c'è un motivo.
Io Andrea e Giacomo procediamo ad elastico, perchè ogni pochi chilometri bisogna fermarsi per fotografare qualcosa di sensazionale.
Per più di 100 km rimaniamo intorno ai 4000 metri, scorgendo pochissimi segni di presenza dell'uomo. E le yurte. E gli yak!! Man mano che ci avviciniamo a Murghab e che la luce del pomeriggio si fa calda, il panorama diventa pazzesco.
Le montagne si incendiano, acquitrini verdissimi nei quali pascolano yak e capre costeggiano la strada per chilometri e chilometri, il tutto con un cielo senza ombra di nuvole o foschia...blu da morire.
Murghab sorge in una vallata che pare un pezzo di Mongolia fotocopiato ed appiccicato qui...la vista dall'alto è mozzafiato, da lacrime.
Vista da vicino invece, senza il contorno della valle, Murghab è ben più povera e triste. Ma troviamo comunque il modo di finire in un posticino carino (cesso a parte...babba bia un buco in terra dal quale ti aspetti che esca il pagliaccio di IT) in compagnia di gente simpatica tra i quali altri 2 team di ragazzi che stanno facendo il Mongol Rally
Domani dobbiamo ancora decidere se dirigerci in Kirgizstan o se restare qui per assistere al Festival dei cavalli che pare essere un evento molto atteso.
Decideremo domani...è il bello di non avere programmi, un lusso che ci stiamo concedendo per evadere dai ritmi di tutto il resto dell'anno.

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